Pubblicato Articolo su Agrifoglio di Dicembre 2015 – Di Giuseppe Mele – Alsia

Agricoltura Biologica

Giuseppe Mele*
Esistono vari modi di fare agricoltura biologica.
A mio avviso si possono considerare e definire “biologiche” tutte quelle forme di agricoltura che mirano a conservare o incrementare la fertilità del suolo e la biodiversità oltre a limitare al minimo impieghi energetici e mezzi tecnici extra aziendali, senza ricorrere all’uso di sostanze chimiche di sintesi e senza dimenticare la valorizzazione del lavoro contadino, in accordo con i principi dell’Agricoltura Organica e Rigenerativa  (AOR) a cui accenniamo nel box in basso.
In questa forma di agricoltura emerge ancora più chiaramente l’importanza della biodiversità (anche microbica) nelle nostre coltivazioni. Più volte abbiamo evidenziato e ripetuto che semplificare eccessivamente l’agroecosistema danneggia innanzi tutto noi stessi, ovvero la nostra econom i a a z i e n d a l e (aumentando i costi), riduce la capacità delle colture di resistere agli agenti biotici (insetti o patogeni vari) o abiotici (agenti climatici), peggiora la capacità delle piante di nutrirsi naturalmente, peggiora le qualità organolettiche e, cosa più importante, nutrizionali dei prodotti ottenuti ed ha gravi conseguenze ambientali.
L’AOR, in particolare, esalta tutte quelle tecniche che ridanno la vita al terreno (rigenerano) partendo da risorse aziendali o, al limite, territoriali, cioè di ambienti naturali o di aziende contigue alle nostre e comunque sempre del settore agricolo o forestale, di cui si possono utilizzare i “sottoprodotti” (stando bene attenti a non chiamarli “rifiuti”!), valorizzandoli con processi di trasformazioni microbiche (aerobiche e anaerobiche) molto semplici e che possono essere facilmente realizzati dai piccoli contadini come dai grandi produttori. Le tecniche di AOR non richiedono infatti particolari attrezzature, se non quelle già presenti in azienda come spezzoni di tubi, contenitori plastici ovvero materiale di risulta o attrezzature non più utilizzate o derivanti da altri
processi.
Partendo da attrezzature “minime” e da materie prime facilmente reperibili (ad es.: farina di roccia, ossa di animali, latte o siero di latte, carbone vegetale,
foglie di bosco, melassa o altri tipi di zuccheri grezzi, acqua pura, lievito di birra, ecc.) si realizzano mezzi tecnici e “coltivazioni microbiche” capaci di risolvere molte problematiche produttive.
Una delle materie prime per eccellenza, tra i cultori di questa forma di agricoltura, è la “Mierda de Vaca” (definizione spagnola facilmente comprensibile) costituita dalle deiezioni fresche di vacca, senza aggiunta di paglia o altro materiale vegetale (la cosiddetta “fatta” dei biodinamici). Questa deve essere fresca, di ottima qualità e appena prelevata (o conservata con particolari attenzioni e l’aggiunta di determinate quantità di sostanze zuccherine)
ancora meglio se prodotta da vacche alimentate su pascoli polifiti naturali (quelli, ad esempio, delle nostre vacche Podoliche). In mancanza si può optare con altre deiezioni animali, preferibilmente ruminanti.
E’ facile comprendere come questa matrice ricchissima di microrganismi, se opportunamente trattata (con procedure e tecniche semplici e ben definite), può dare origine a “biofertilizzanti” particolarmente efficaci e a bassissimo costo.
Certo qualcuno può avere delle perplessità al pensiero di dover maneggiare tali materie prime, ma bastano semplici precauzioni che il buon senso impone per evitare qualsiasi rischio; in ogni caso non ci sono problemi, anzi solo vantaggi, per i prodotti ottenuti. Le analisi microbiologiche sino ad ora condotte nel mondo, e adesso anche in Italia, hanno sempre escluso la presenza di coliformi fecali (o altri microrganismi pericolosi) nei prodotti alimentari ottenuti secondo le procedure AOR.
Sappiamo tutti che oltre ai microrganismi patogeni ve ne sono molti utili che ci aiutano a vivere bene ed in salute, quali i simbionti presenti nel nostro apparato digerente oppure quelli necessari per la produzione dei tanti prodotti alimentari fermentati (formaggio, yogurt, birra, pane, vino, crauti, ecc.).
Tra i microrganismi che si possono produrre con le tecniche AOR vi sono, solo per citarne alcuni, il Bacillus subtilis ed il Bacillus licheniformis, che hanno funzioni curative o preventive per alcune patologie delle piante; altri facilitano la fissazione dell’azoto atmosferico, l’assorbimento del fosforo o di altri elementi di cui le piante necessitano, ecc.
Queste “autoproduzioni” di mezzi tecnici si devono accompagnare a tutte quelle buone pratiche – tipiche dell’agricoltura biologica – quali gli inerbimenti, le rotazioni, le minime lavorazioni del suolo, per l’ottimizzazione dei risultati agronomici, economici ed ambientali.
Tra i primi a “disseminare” l’AOR in Italia, sono stati gli operatori di DEAFAL (Delegazione Europea per l’Agricoltura Familiare di Asia, Africa e America Latina). Si tratta di un’Organizzazione Non Governativa (ONG), costituita nel 2000 ma già operativa in maniera informale dal 1998 che, come si legge dal loro sito web www.deafal.org, nelle diverse missioni per “l’emancipazione e lo sviluppo umano, sociale ed economico dei piccoli produttori agricoli e delle categorie più vulnerabili dei Paesi del Sud e del Nord del mondo, in una logica di cooperazione globale” è venuta in contatto con le esperienze e con i tecnici divulgatori che da alcuni anni (circa 30) promuovono l’AOR. I tecnici di DEAFAL hanno subito intuito l’importanza tecnica, oltre che sociale, di tale modello agricolo ed hanno iniziato a proporlo anche in Italia.
Fortunatamente adesso anche qualche docente o ricercatore del sistema di ricerca pubblico italiano, in collaborazione o indipendentemente da DEAFAL, ha iniziato ad indagare tali metodiche, con risultati incoraggianti.
L’Alsia, già nel settembre 2013, presentò questa forma di agricoltura biologica realizzando uno specifico seminario che vide la partecipazione di uno dei massimi esponenti internazionali di AOR, l’agronomo e ricercatore Jairo Restrepo Rivera. L’evento suscitò notevole interesse; vi fu una larghissima partecipazione di pubblico e da allora diversi giovani agricoltori, in rete con altri gruppi, si cimentano con queste pratiche.
L’auspicio è che si possano ripetere simili esperienze per affrontare ed approfondire queste particolari tecniche di autoproduzione che se si diffonderanno, è facile immaginare, potranno generare non poche polemiche e problematiche legislative non del tutto disinteressate.
Per avere velocemente un’idea delle potenzialità dell’AOR e delle attività di DEAFAL in Italia e nel mondo: www.agricolturaorganica.org/wp-content/uploads/uploads-materiali/Deafal-e-AOR

 

LA DEFINIZIONE DI “BIOLOGICO” PER FINI COMMERCIALI
Per indicare il termine “biologico”in etichetta e vendere come
tali i prodotti agroalimentari ottenuti con queste forme di agricoltura,
il produttore sceglie volontariamente di assoggettarsi ad
un regime di controllo obbligatorio, regolamentato da legislazioni
internazionali, comunitarie, nazionali e regionali.
In Italia il rispetto delle norme che disciplinano la commercializzazione
dei prodotti biologici – oltre che dai vari organi ispettivi
nazionali e regionali (Ispettorato centrale per il controllo della
qualità dei prodotti agroalimentari o ICQ, Nas, ASL, Noe, Corpo
Forestale, ecc.) – viene garantito da un ente di controllo privato,
liberamente scelto dal produttore tra i diversi presenti sul mercato.
Ovviamente chi non è interessato agli aspetti commerciali
oppure alle risorse finanziarie riservate a queste forme di agricoltura,
non ha nessun motivo di pagare un ente di controllo
privato; per essere più esplicito: tutti possono usare metodi e
tecniche “bio” senza pagare nessuno! I fautori della AOR non
sono per nulla interessati agli aspetti commerciali ma concentrano
la loro azione sulle tecniche e sulle implicazioni ambientali
e sociali dell’uso di queste tecniche.