L’agricoltura biointensiva e la formula della sostenibilità

Qual è la superficie minima di suolo che serve a un essere umano per la propria autosufficienza? Partendo da questa domanda è nato più di trent’anni fa in California dal gruppo Ecology Action di John Jeavons l’orto biointensivo. Dopo 31 anni di esperimenti basati sul metodo biodinamico intensivo di Steiner, si è arrivati alla pubblicazione di vari libri e ricerche, tradotti in molte lingue e all’elaborazione di un metodo utilizzato in 130 paesi, tra cui Messico, Ecuador, Bolivia, Perù.

Si tratta di un sistema di produzione basato sulle risorse locali, senza macchinari fertilizzanti o insetticidi commerciali, per evitare danni all’ambiente, alla salute delle persone o agli ecosistemi. Si rivolge alle piccole comunità rurali dei paesi in via di sviluppo, che hanno bisogno di produrre alimenti per la propria famiglia e incamminarsi verso l’autosufficienza alimentare della comunità. Usa tecnologie semplici ma efficaci. Ottiene rendimenti del 100% maggiori anche in caso di condizioni avverse del suolo. L’elemento tecnologico chiave è la pala, utilizzando la forza di gravità. L’energia meccanica o umana invertita rappresenta solo l’1% per unità di alimento prodotta. Richiede circa il 30% della risorsa idrica necessaria nell’agricoltura tradizionale. Ricostruisce il suolo 60 volte più velocemente rispetto alla natura.

Il metodo si basa su 8 principi: preparazione del suolo (doppio scavo a 60 cm), compost e fertilizzanti organici, semina ravvicinata e intensiva (esagonale), consociazioni e rotazioni delle colture, parte delle coltivazioni destinate a ‘biomassa’ (coltivazione di carbone), coltivazione di calorie, uso di semi a impollinazione aperta e integralità del sistema.

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