Sapevate che la paglia può far produrre azoto?!

Sapevate che la paglia può far produrre azoto?!

Vero, leggendo qualsiasi libro di agronomia si consiglia che all’interramento della paglia deve essere seguita una concimazione azotata onde prevenire fenomeni di carenza d’azoto.

Ma perché?

Semplice, la paglia ha un fortissimo sbilanciamento nutrizionale verso il carbonio e la microflora del terreno, che per elaborare ogni unità di carbonio ha bisogno di almeno un decimo di unità di azoto disponibile. O questo è presente nel terreno in quantità o una volta insediatasi la coltura successiva (si salvano le leguminose grazie ai loro simbionti) l’azoto sarà conteso strenuamente.

Per avvallare questa concreta problematica molti agricoltori scelgono o di asportare paglia vendendola per fini zootecnici o di bruciarla per eliminare la componente carboniosa.

Vale la pena?

Nel caso dell’asportazione, il ritorno economico minimo sussiste (molto variabile da zona a zona) ma c’è anche

asportazione importante non solo del carbonio ma anche di altri elementi quali potassio, magnesio e calcio, oltre a

 due passaggi in campo ulteriori.

Nel caso dell’abbruciamento del materiale, il carbonio viene completamente perduto e ne rimane solo la componente minerale in forma ossidata.

Sussiste alternativa? 

Sì, anche qui ci viene in aiuto comprendere i meccanismi che in natura avverrebbero spontaneamente.

Cosa fa per esempio un residuo di avena fatua prima di degradarsi? Aspetta…

Una volta effettuata la disseminazione, viene digerito prima nelle parti radicali, poi piano piano, grazie ai diversi eventi atmosferici, la rigidità propria dello stelo verrà meno e questo si poggerà finalmente a terra.

Con il passare del tempo verrà coperto da altro materiale e da altre piante che intanto saranno cresciute intorno.

Gradualmente il carbonio presente nelle parti della pianta troverà condizioni di umidità e di ombra ideali per la digestione da parte di macro/meso fauna e microrganismi (funghi e batteri) affamati di carbonio. Il tutto avverrà lentamente ma accadrà e laddove il riciclo delle strutture organiche è terminato senza disturbi non si evidenziano quei fenomeni da fame d’azoto che sono invece inevitabili in pieno campo.

Perché?

Insieme al carbonio, gli organismi devono trovare anche altro ingrediente chiave da abbinare per il proprio metabolismo. L’azoto.

Le fonti di azoto principali derivano o da azoto già metabolizzato, e quindi legato a composti chimici organici, o dall’atmosfera presente in forma libera e gassosa.

Il 78% dell’aria ne è costituito ma per estrarlo e portarlo al suolo servono energia ed abilità speciali che non tutti i microrganismi hanno.

Solo alcuni, chiamati per l’appunto “azotofissatori”, hanno evoluto un processo complesso detto “azotofissazione” dove grazie ad un enzima specifico “nitrogenasi” riescono a fissare l’azoto nelle proprie cellule prelevandolo dall’aria e riducendolo.

Il processo è dispendioso e avviene solo se la presenza di carboidrati è elevata.

Una volta fissato l’azoto, questo verrà utilizzato per il metabolismo vitale del batterio e verrà riciclato, da e per la catena trofica successiva al batterio.

Wow magia!!

Sì, ora il bilanciamento chimico è di nuovo in ordine, da una situazione di eccesso e carenza di due forme chimiche fondamentali, attraverso il tempo e reazioni complesse, l’edaphon del suolo è stato in grado di rigenerare l’equilibrio.

Se la vediamo dal punto di vista agronomico, l’attività microbiologica è aumentata in maniera esponenziale, la riserva minerale è stata in buona parte ripristinata e si sono messi in moto processi di umidificazione in loco che, miglioreranno la macro e micro struttura del suolo.